Come scrivo le mie serie: Stefano Bises e il nuovo ruolo degli sceneggiatori in Italia

Stefano Bises è uno degli scrittori e autori di soggetti e sceneggiature di fiction e serie tv più ricercati.

 

Nella sua filmografia compaiono, tra gli altri: Gomorra – La serie, Zero Zero Zero, The New Pope, Il Miracolo, Un’altra vita, Questo nostro amore, Una grande famiglia, Tutti pazzi per amore, La vita facile, Il capo dei capi, Tutti i giorni della mia vita, L’ispettore Coliandro.

Per chi ambisce a scrivere per le serie e per i nuovi committenti entrati nel mercato delle serie tv, Netflix, Sky e Prime video, oltre alle classiche Rai e Mediaset, Stefano Bises è sicuramente lo sceneggiatore da seguire.

 

Attualmente sta lavorando su Europa, progetto pilota basato sul libro del giornalista sotto copertura, Fabrizio Gatti, che ha percorso la moderna rotta degli schiavi dall’Africa occidentale attraverso il Sahara, immigrando “illegalmente” in Italia, travestito da rifugiato curdo con il nome di Bilal. L’altro progetto su cui ha già scritto la sceneggiatura è Il Sole Sospeso, tratto da Il sole di mezzanotte, romanzo dello scrittore norvegese Jo Nesbo, in fase di preproduzione.

 

In fase di preproduzione anche Everybody loves diamonds, serie ispirata al “Colpo di Anversa” del 2003, il più grande furto di diamanti al mondo, compiuto da un gruppo di squinternati rapinatori che riescono però ad aggirare il sistema di sicurezza all’avanguardia dell’Antwerp Diamond Centre e a rubare pietre preziose del valore milioni di dollari. Un progetto che promette di creare un nuovo genere contemporaneo italiano, quello degli “heat-movie”, i grandi colpi, stile Ocean’s eleven, di cui anche la nostra attualità è ricca. La serie uscirà su Prime Video nel 2023.

 

Come sta cambiando il ruolo dello sceneggiatore

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Stefano Bises

Stefano Bises è dunque l’esempio di come stia cambiando il ruolo dello sceneggiatore in Italia. Veniamo da una tradizione di grandi scrittori che spesso però hanno lavorato con registi anch’essi scrittori, pensiamo a Age e Scarpelli che hanno sceneggiato spesso con Ettore Scola e Dino Risi, o Suso Cecchi d’Amico spesso in coppia con Mario Monicelli, o Benvenuti e De Bernardi assieme a Sergio Leone o a Carlo Verdone.

 

Con lo sviluppo delle serie come prodotto industriale e soprattutto con l’entrata nel mercato dei colossi internazionali con i loro metodi e i loro standard, pensiamo sopratutto alla Writers Room, vere e proprie stanze dove i diversi sceneggiatori lavorano sotto la supervisione di un Head Writer a sua volta supervisionato dallo show runner, il deus ex machina della serie, lo sceneggiatore italiano è entrato in una nuova e internazionale dimensione, dove quasi nulla è uguale a prima.

 

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Frame di Gomorra la serie

Oggi questo nuovo tipo di sceneggiatore è presente in tante e diverse fasi della produzione della serie. Oltre a scriverla, partecipa ai casting, guarda i provini degli attori (e a volte li sceglie pure) guarda i giornalieri, discute con il regista delle scene da girare, offre la sua consulenza pure al montaggio. Compiti impensabili fino a un decennio fa, al punto che lo sceneggiatore può arrivare ad essere considerato il vero responsabile della serie, basti pensare a serie iconiche d’Oltreoceano americane come Breaking Bad e il suo creatore-demiurgo Vince Gilligan, o David Simon con la sua The Wire, Howard Gordon, Alex Gansa e Gideon Raff per la loro Homeland.

 

Lo sceneggiatore diventa creatore della serie

Per Stefano Bises, “Lo sceneggiatore è davvero il vero creatore di una serie. È quello che immagina non solo la storia, ma l’ambientazione, le atmosfere, i toni. Già in fase di scrittura, si propongono corrispondenze visive, modi di ripresa e di illuminazione, un ritmo specifico. Lo sceneggiatore non fa un lavoro astratto, non concepisce semplicemente una storia e i dialoghi, ma ha, o dovrebbe avere, un’idea. Spesso lavoriamo con registi che si appoggiano in modo intelligente sulla scrittura, che si confrontano per elaborare insieme una visione della serie. Ma tutto è affidato al buon senso, al momento: una codifica contrattuale di queste prerogative è difficile. Io non sarei capace di girare un episodio, non ho la competenza tecnica, non l’ho mai fatto e non sono sicuro che mi interessi davvero. Ma voglio scegliere gli attori. Voglio vedere le luci che il regista ha immaginato. Voglio andare in montaggio, perché è l’ultima scrittura”.

 

Il passo fondamentale che fa di Stefano Bises uno “sceneggiatore all’americana”, di pari passo ai nuovo “registi all’americana”, come Stefano Sollima, comincia, per entrambi, con Gomorra la Serie.

Il cambio di passo dello sceneggiatore – Gomorra la serie

“Lì, soprattutto all’inizio, c’è stata qualche difficoltà di scrittura: abbiamo capito tardi quale sarebbe stata l’ambientazione, con i soggetti già scritti, e abbiamo dovuto andare in copione senza adeguare le storie e i personaggi al nuovo setting. C’erano costruzioni narrative legate all’universo casalese, ma una volta spostate a Scampia e a Secondigliano, non più tra camorristi ma tra semplici trafficanti di droga, cambiava tutto. Mentre si girava scrivevamo. Vedevo i giornalieri, la sera andavo a Napoli a parlare con Sollima quando finiva le riprese, aggiustavamo tutto in corsa. Lui mi chiamava: “guarda che la costruzione di quell’inseguimento non si può fare”, la geografia del posto non lo consentiva. E lì l’urbanistica è un personaggio, non lo puoi violare, la divisione in clan prevede zone e territori di influenza. Banalmente, non puoi scrivere un personaggio che cammina, attraversa la strada, va in un palazzo e ne esce: se quel palazzo è di un altro clan non lo può fare. Cercavamo un’autenticità totale, e allora c’era bisogno di una verifica costante sul campo, modificando quanto era già stato scritto”.

 

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Stefano Sollima

Nessuno conosce bene l’universo dei personaggi protagonisti di una serie come lo sceneggiatore

“Il regista ha in mente tutta la serie, ma nessuno la conosce bene come lo sceneggiatore. Quei copioni, prima di arrivare alla forma definitiva, sono passati dieci o dodici volte per le mie mani. E allora è facile che io abbia la temperatura precisa di ogni passaggio. Una restituzione continua sui giornalieri è indispensabile: se non intervieni subito, e ti ritrovi con sei o sette giorni di riprese, poi magari hai trenta scene che non sono sintonizzate in modo preciso”.

Lo sceneggiatore come creatore e demiurgo della serie 

“Lo sceneggiatore è legato alla fiducia che riesce a conquistare dal produttore e dal broadcaster. Devo dire che la Rai era la prima a volere un occhio attento da parte di chi aveva pensato la storia. Ma questo dovrebbe diventare lo standard. Da solo, il regista tende a dare un’interpretazione di qualcosa fatto da altri, a volte con la ricerca di un compromesso che sbiadisce l’identità delle cose, in altri casi entrando in conflitto con i copioni, di cui fa quello che crede. Per questo capita spesso di vedere cose che hai scritto provando disagio. Invece il confronto diretto arricchisce. Vedere i primi giornalieri di Sollima mi ha aperto un mondo, mi ha dato una visione completamente diversa della narrazione. Un esempio: i personaggi di Ciro e Genny in scrittura non erano così legati, fratello maggiore e minore, figlio e padre putativo. La potenza emotiva ci è venuta vedendo i primi giornalieri, e insieme abbiamo capito le opportunità narrative di quel tipo di legame, che di fatto ha retto un’intera stagione della serie”.

 

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Gomorra la serie in montaggio

Il nuovo standard degli sceneggiatori

“Nel caso di Gomorra ero presente. Lì è stato davvero soddisfacente. Salvatore Esposito era stato chiamato lì per dare le battute, non come attore da provinare, ma la sua voce era efficacissima, allora l’abbiamo guardato bene in faccia, evidentemente cambiandogli la vita. E insieme abbiamo cominciato a decidere il rapporto tra Genny e Ciro e la trasformazione, quando torna dall’Honduras e perde 20 kg. In base ai provini, vedi se il personaggio va registrato, aggiustato, trattenuto.

Lo sceneggiatore è presente anche nel montaggio

Il capo dei capi, la fiction su Riina per Taodue è stato un primo esperimento di head writing, anche se non in modo esplicito: lì c’era un head writer che non scriveva, Stefano Rulli. Io ero uno degli autori e sceneggiatori insieme a Claudio Fava e a Domenico Starnone. Il regista era un mio amico, l’avevo portato io da Valsecchi, e i primi montati non piacevano: Valsecchi li trovava noiosi, lenti; a Rulli non piacevano alcuni estetismi, l’indugiare sui dettagli. Dopo la prima puntata montata si era creato il panico. Allora io, che avevo poca esperienza, ma comunque avevo già fatto un po’ di cose, Distretto, RIS, dissi: “no, secondo me i materiali sono bellissimi, dobbiamo aggiustarli in montaggio”. Quella è stata la prima volta in cui sono andato da solo con il montatore a dire “leverei questo, farei questo spostamento, vediamo che effetto fa”. E in effetti poi funzionava. Quella roba lì l’ho imparata da Pietro Valsecchi, fare nottata in montaggio, mettere la musica, capire il senso del ritmo. Ed è un passaggio fondamentale per la scrittura: il copione è musica. Se non hai la percezione del ritmo, al di là delle divisioni in tre atti, delle strutture narrative, di tutte le altre regole, quel copione non suonerà come potrebbe. E la musica ce l’hai solo se riesci ad abbinare, prima ancora che sia stata realizzata una sola ripresa, la tua scrittura a un’idea di montaggio”.

I nuovi modelli di produzione

“Ci sono modelli completamente diversi. Per Cattleya, c’è una figura di super editor come Gina Gardini, una persona con una competenza editoriale decisamente solida e una capacità produttiva assoluta, che sta sul set durante tutta la lavorazione della serie, ha in mano tutto. Una figura del genere assorbe anche alcune competenze autoriali. Gina non vuole sceneggiatori al montaggio, e nel momento in cui è entrata in Gomorra il mio ruolo è cambiato, tornando a essere puramente di scrittura. Avevo il mio rapporto con Sollima, continuavo a vedere le puntate, i giornalieri, ma al montaggio non andavo, perché questa è la filosofia di Gina. Dopodiché a un certo punto vedi un premontato, dici la tua e se ne tiene più o meno conto. C’è un distacco dell’autore dal prodotto, salvo averne bisogno se ci sono problemi produttivi”.

Sceneggiatore, writers room, head writer, showrunner

“Quella di Sollima è sostanzialmente stata una direzione artistica, lui veniva alle riunioni di sceneggiatura, poi leggeva i materiali e li discutevamo insieme, ha seguito passo dopo passo le fasi e ha esercitato il suo potere di indirizzo. C’era una cifra artistica nella sua idea e nella scrittura questo doveva venire fuori. Sollima ci ha guidato e noi siamo andati incontro al suo immaginario”.

 

“Ci siamo visti e incontrati molto, definendo, con una certa precisione, punto di partenza e di arrivo di ogni episodio, ma prima ancora, con la stessa precisione, punto di partenza e di arrivo di tutta la serie. Ma è stato un lavoro molto effimero, perché alla prova della realtà, tutto si è piegato. E molto materiale è stato buttato”.

 

“Quando, infatti, con Sollima si è arrivati alla fase dei sopralluoghi, è stato lì e soltanto lì che abbiamo finalmente capito chi e cosa volevamo veramente raccontare. Che tipo di camorra. Che tipo di ambienti. Che tipo di umanità. E questo ha cambiato tutto. Perché rapidamente abbiamo capito che Scampia e Casal di Principe non sono la stessa cosa, come mondi, come interessi, come tipo di business, come psicologia dei personaggi”.

 

Parlavamo di affari, e trattavamo i nostri personaggi come camorristi tout court, quando i clan di Scampia e Secondigliano non sono camorra, letteralmente non sono camorra, non c’è affiliazione, sono sostanzialmente dei trafficanti. E quindi se tu vai a raccontare la camorra cittadina, parli di scippi, furti, rapine, usura, spaccio e pure appalti, ‘o sistema insomma. Quando parli di loro, invece, parli di impresari, tutti dotati di una spiccata capacità imprenditoriale. Studiare il funzionamento di una piazza di spaccio è un po’ come studiare il funzionamento di un’azienda che funziona e produce 24 ore al giorno, turni, paghe, welfare. E questo ti cambia tutto. A noi, ci ha cambiato l’arena della serie”.

 

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I format stranieri

“Penso a quanto siamo produttivamente modesti qui in Italia, perché se c’è un paese dove la famiglia è centrale è il nostro, e trovo assurdo che per fare i Cesaroni siamo andati a pescare in Spagna. La proliferazione di format stranieri su patrimoni narrativi che sono nostri, è intollerabile. Non c’è un autentico mercato delle idee che valorizzi quello che abbiamo e quello che potremmo avere.

La mia routine di creazione

“La musica ho imparato da poco ad ascoltarla mentre scrivo, perché per anni mi è sempre sembrata come una distrazione. Ora ascolto la radio e gioco a scacchi online, anche 15 partite consecutive. Quindi, come vedi, il tempo di lavoro effettivo è incalcolabile per questo motivo. In generale diciamo che cerco di essere quanto più rigoroso possibile. Mi sveglio ogni mattina alle 6:30 per leggere i giornali, preparo la colazione ai bambini, li porto a scuola e poi lavoro. Della scrittura, preferisco la parte solitaria, lo coltivo come se fosse un momento di bellezza, una cosa benedetta. Le riunioni mi restano indigeste, quelle con i miei simili le tollero di più, ma in generale preferisco stare da solo. Per essere produttivo devo avere la mia giornata davanti, nei tempi contingentati non funziono. Lavoro meglio la mattina che la sera, la notte alle 11 c’ho la febbre, sonno mortale”.

Cosa deve fare oggi un aspirante sceneggiatore

Per fare gli sceneggiatori la formazione è fondamentale, come per qualsiasi mestiere. Se vogliamo essere bravi dobbiamo studiare, guardare, ascoltare, esercitare la curiosità che è la qualità che uno sceneggiatore deve necessariamente possedere. Oggi soprattutto nella serialità i racconti tendono ad essere di una certa complessità di scavo e per esercitare questo scavo di mente mente bisogna formarsi. Non so quale sarà il futuro della serialità, le piattaforme attraverso le quali usufruiamo di racconto visivo continuano ad aumentare quello che trovo interessante e che Le piattaforme che inizialmente sembravano lavorare maggiormente sulla nicchia cioè su i racconti molto specifici piuttosto stretti tendono ad avvicinarsi ai prodotti della televisione generalista così come la televisione generalista tende a rendere qualitativamente migliore il proprio prodotto generalista, come se le due realtà si stessero piano piano avvicinando su un punto intermedio di alta qualità, ma larghi in termini di opportunità di ascolto.

La scena o il racconto fondamentale per uno sceneggiatore

È un episodio di Breaking Bad, serie straordinaria. Noi cominciamo la serie con quel personaggio che scopre di essere ammalato gravemente e realizza che senza di lui la famiglia non ce la farà economicamente ad andare avanti. Decide allora di produrre metanfetamina per raccogliere soldi sufficienti a mantenere la famiglia senza preoccupazioni economiche quando lui non ci sarà più. Solo che poi vediamo che diventato ricchissimo, non smette e va avanti, perché è cambiato per il motore motivazionale, non è più importante la ricchezza, un elemento esterno, ma ha subito un cambiamento interno: lui che era un mediocre, è diventato, nel suo campo, il numero uno. È il suo nuovo motore motivazionale.

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Breaking Bad

L’episodio si chiama The Fly, la mosca. È il giorno in cui White entra nel suo laboratorio si prepara a svolgere la sua giornata di lavoro si rende conto che è entrata una mosca più comune fastidioso ma anche innocua. Che danni può causare una mosca? Ma per lui quella mosca è un cataclisma, è una tragedia perché contamina, può intaccare la purezza della metanfetamina che lui produce ovvero può minare l’unico elemento sul quale il personaggio può appoggiare la legittimità di continuare a fare quel mestiere ovvero essere il numero uno. Ed è sufficiente una mosca e far crollare l’architrave morale del personaggio, quell’uomo che ha una morale: se la purezza della sua metanfetamina scendesse a un livello ordinario, non avrebbe più nessuna giustificazione verso se stesso per continuare a fare quello che fa. Una mosca lo mette in crisi. L’intero episodio è dedicato alla caccia alla Mosca, con salti di tono perché c’è del comico, c’è Stanlio e Ollio, c’è del grottesco ma di fondo c’è la vita o la morte di un uomo una mosca, per il personaggio, ha il valore di una bomba atomica, di un terremoto, della morte di un figlio ha un potere motivazionale su quel personaggio straordinario ed è la ragione per cui tendenzialmente ci guardiamo 45 minuti di caccia una mosca senza annoiarci perché si percepisce sotto la tragedia di Walter White che a quella Mosca tiene appese le sue ragioni di esistere. Questo è possibile solo quando su un personaggio hai fatto un lavoro di scavo nel suo intimo, poderoso e imponente”.

 

Come approcciarsi alla scrittura?

“Sono 20 anni che faccio questo mestiere, e penso sempre che chissà se andrà sempre così bene. La creatività, poi è una roba misteriosa, ogni mattina lo scrittore si sveglia con l’angoscia che non riesci più a produrre niente. Per questo la prima reazione quando mi propongono un progetto è: no, non sono capace, non lo voglio fare, dico all’agente no, no, digli di no, questa cosa non la posso fare perché non sono in grado, è troppo complicato è troppo difficile. Però penso anche che questo atteggiamento mi ha salvato poi, perché alla fine mi costringe a prepararmi talmente tanto sulle cose, relazionandomi con i personaggi cercando sistematicamente gli angoli bui cercando quasi ossessivamente di capire cosa c’è dietro, dentro il personaggio, cosa c’è che non vedo a prima vista. Anche perché, a stringere, un racconto è una serie di sguardi, di concezioni delle cose, da parte di persone diverse. Come ognuno di noi guarda la stessa cosa rende unici i nostri racconti”.

 

Le dichiarazioni di Stefano Bises sono tratte dalle seguenti interviste:

Fare fiction in italia. Intervista a Stefano Bises

Premio Scardamaglia – Stefano Bises

https://www.facebook.com/watch/live/?v=1155271054665762&ref=watch_permalink

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