Come scrivo i miei film: i fratelli D’Innocenzo, dalla Terra dell’Abbastanza a Favolacce

Damiano e Fabio D’Innocenzo sono degli autodidatti del cinema.

 

A tre anni vivevano a Campo Jemini, che è una frazione di Pomezia: “oggi ha perso tutto quello che aveva: i campi di grano immensi, i piccoli fiumiciattoli; era veramente meravigliosa”. Poi la famiglia si è trasferita ad Anzio, poi a Lavinio infine a Nettuno. “Stavamo con tutti, con cugini e zii, e la periferia era sempre lì, nelle nostre vite, ma molto meno di quanto è stato detto. Addirittura sono arrivati a chiederci se abbiamo mai visto uccidere qualcuno, e noi costretti a dire: no, mai”.

 

scrivere film, il cinema dei fratelli D'Innocenzo
Fabio e Damiano D’Innocenzo

 

Come scuola superiore hanno fatto l’Alberghiero. Ma non erano interessati né al turismo né alla ristorazione. “Non ci è servito assolutamente a niente; forse, solo ad annoiarci. Andavamo a scuola con il pigiama sotto i jeans. E quando tornavamo a casa, ci toglievamo i jeans, ci buttavamo sul letto e cominciavamo a disegnare e a scrivere con la televisione in sottofondo: mettevamo Italia 1, e guardavamo I Simpson“.

 

Finito “tristemente” l’Alberghiero, decidono di venire a Roma. “E più precisamente: ai margini di Roma, perché lì le case costano di meno”. Tor Bella Monaca. Anzi, “il Principato di Tor Bella Monaca, e quel principato era la nostra famiglia”.

 

 

Scrivere è sempre stata un’estensione di quello che siamo. La prima volta che abbiamo pensato di scrivere non avevamo nessun motivo particolare. Non c’era l’idea che quelle sceneggiature, poi, sarebbero diventate qualcos’altro. Noi volevamo solo scrivere il nostro film, quello che ci avrebbe fatto piacere vedere. Eravamo ancora estremamente ignoranti su come funziona l’industria del cinema”.

 

Intanto guardano tanto, tantissimo cinema. Con tutti i mezzi: “Ci saremo visti almeno tremila film senza pagare nella forma classica. Posso vedermi gratuitamente tutti i film di Haneke: basta un pc e un buon antivirus. Poi esce il suo libro di interviste e vado a spendere 30 euro per comprarlo. Il soldo fine a se stesso gira, capisci? Se qualcosa ti rende l’occhio grato e il pensiero riconoscente, quella fottuta mano afferrerà quel fottuto portafogli, quando ne avrà la possibilità“.

 

A 19 anni hanno già nel cassetto le sceneggiature di La Terra dell’abbastanza e di Favolacce, ma farli leggere ad un produttore è durissima. A vent’anni cominciano a lavorare nel mondo del cinema italiano. “Mimmo Calopresti, Alex Infascelli, Daniele Luchetti e Massimo Gaudioso si erano interessati a quello che scrivevamo, e cercavano di darci dei consigli. E ci avevano anche chiesto di collaborare con loro. E quindi, ecco, abbiamo cominciato a lavorare insieme a belle persone che facevano un bel cinema. Abbiamo iniziato a capire come un regista deve affrontare i problemi produttivi e tutte le cose che avvengono prima di un ciak. In quel periodo abbiamo lavorato come ghostwriter, ed è stato molto importante per noi. Non abbiamo nessun rancore per non aver firmato le sceneggiature di alcuni film. Q quello che ci serviva era entrare in punta di piedi in questo mondo, e fare la gavetta”.

 

L’occasione arriva con Matteo Garrone: Lo incontriamo in un terribile ristorante di cucina fusion. Ricordo che a un certo punto spuntò quest’uomo, questo torello, con il giubbotto di pelle, e noi lo riconoscemmo subito e andammo ad abbracciarlo. Parlammo dei suoi film, di Primo Amore, di quanto per noi sia stato sottovalutato. Passammo circa tre ore e mezza insieme, e lui si sentì quasi obbligato, credo, a invitarci a casa sua il giorno dopo. Andammo da lui con due copioni de La terra dell’abbastanza, che onestamente penso non abbia mai letto… Eravamo pieni di speranza, convinti di aver ottenuto chissà cosa. E invece quel giorno non facemmo altro che aiutarlo a portare un televisore dagli Studios De Paolis a casa sua. Poi ci salutammo e pensammo che sarebbe finita lì; invece ci ricontattò dieci giorni dopo, dicendoci che voleva una mano con Dogman. Senza di lui, forse, adesso staremmo ancora cercando di girare il nostro primo film. Quando si è sparsa la voce che stavamo lavorando con lui, sono stati i produttori a chiamarci. Si è completamente ribaltata la prospettiva“.

 

 

“Al tempo de “La Terra dell’Abbastanza” c’erano due vie malsane per instradare il film in termini di comunicazione: buttarci sull’addizione e sfruttare una corrente (che non c’è mai stata) oppure fare l’opposto, urlando screanzati robe patetiche come “noi siamo diversi”. Per pigrizia e per astuzia, non abbiamo fatto nessuna di queste due cose. Il cinema non è un magheggio da classifica e l’originalità è sempre nel punto di vista.

 

 

“Noi partiamo da un punto di vista. Poi pensiamo a trovare la storia che meglio possa dare al punto di vista un terreno largo, lungo e familiare e fertile e senza scuse. Solitamente, se la storia e il punto di vista sono precisi, la sceneggiatura arriva come resto doveroso: te la trovi già sul tavolo“.

 

Sul set devi riscrivere il film con gli attori, con la luce, con una spazialità definita, con una quotidianità di squadra: matita non serve più. È il momento in cui il pezzo di carta diventa un pezzo di vita e devi essere in ascolto. Spesso lasciamo, senza rimpianti, la sceneggiatura in camerino”.

 

“Noi non dividiamo mai in letteratura alta o bassa; per noi c’è tutto. Quello che rende interessanti gli autori è la loro capacità di saper prendere tutto da tutti, e di non fermarsi. Perché a un certo punto rischi di impigrirti, di ripetere, di fare sempre la stessa cosa. Topolino è una lettura imprescindibile, e lo sono anche i Peanuts. Alla nostra squadra non abbiamo mai dato riferimenti filmici, perché non volevamo limitarci; abbiamo parlato di letteratura”.

 

 

“Fin da ragazzi, abbiamo amato il cinema di Coppola, di Scorsese e di Rossellini, ma abbiamo amato anche The Wire, Friday Night Lights e Dawson’s Creek; abbiamo amato I Simpson, che sono la cosa più bella che sia mai stata trasmessa in televisione. E abbiamo sempre amato letteratura, fumetti, film. Tutto quello che è narrazione. Non c’è mai una divisione netta; non ci sono confini. Avere a disposizione 90 minuti o 10 ore non cambia l’approccio: tutto ritorna sempre allo stesso desiderio incontrollabile, bulimico, di raccontare qualcosa che ti appartiene, che è estremamente forte, ma che è invisibile“.

 

“Ci affacciamo a questa nuova prospettiva, che è la televisione, convinti che non scalzerà il cinema, ma che anzi ci aiuterà a lavorare ancora meglio. È una palestra. E il nostro approccio rimane sempre lo stesso, e cioè: dobbiamo raccontare una storia, e dobbiamo fare in modo che questa storia emozioni“.

 

Favolacce dice che non è il luogo a determinare chi sono le persone, ma è il contrario: e sono le persone che determinano il luogo. Favolacce è stato una risposta a chi ha ignorato La terra dell’abbastanza perché ambientato nella periferia. Dopo averlo visto, è difficile uscire dalla sala con la coscienza a posto; parla degli insospettabili, parla della provincia, parla di tutti quanti noi. Noi facciamo i film per raccontarci. Ma non per raccontare la nostra vita. Certo, anche quello fa parte del gioco; ma prima, molto prima, deve venire l’arte, poi l’artista”.

 

 

I protagonisti di entrambi i film sono dei naufraghi, solo che quelli della terra dell’abbastanza sono in piena tempesta mentre quelli di Favolacce sperduti in un mare calmo e piattissimo”.

 

Adesso scriviamo una sequenza interrogandoci immediatamente sul come la gireremo sul set. Se ci è confusa la sua futura messa in scena, la eliminiamo. Anni fa per noi un film era invece terminato quando sulla sceneggiatura c’era scritto Fine.

 

“Le sceneggiature per il cinema si possono scrivere in due. Inoltre non editiamo un bel niente. Io le mando a Fabio via email, lui la commenta dicendo “Ok” oppure “Mhhh”… E viceversa. Mai nulla di più eclatante. Non ci diamo consigli perché in realtà sappiamo quando una cosa è bella e sincera e quando invece si dimena per arrivare da qualche parte e finisce per diventare un piagnisteo di retorica e noia“.

 

“Considera che anche per le sceneggiature funziona così. Ne scrivi una, poi la lasci perdere per un po’. Come il vino. Deve passare un po’, poi torni e vedi se il raccolto era buono o se non valeva granché“.

 

Le dichiarazioni di Fabio e Damiano D’Innocenzo sono tratte dalle seguenti interviste:

 

http://www.ondacinema.it/speciali/scheda/intervista-ai-fratelli-dinnocenzo-il-buon-cinema-e-sempre-gratuito.html

https://www.lastampa.it/spettacoli/cinema/2020/03/11/news/i-fratelli-d-innocenzo-veniamo-da-tor-bella-monaca-ma-la-nostra-era-la-oxford-della-periferia-1.38579936

https://www.uzak.it/blog/su-favolacce-intervista-a-fabio-e-damiano-d-innocenzo.html

https://www.taxidrivers.it/144222/top-stories/non-solo-favolacce-intervista-con-i-fratelli-dinnocenzo.html

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