Successi Tracce, Federico Francioni vince il Festival di Torino con Rue Garibaldi

Per aver raccontato, con delicatezza, onestà e vicinanza, la storia di due persone, una sorella e un fratello, in un momento di definizione delle loro vite partecipando dei loro sogni e delle loro frustrazioni. Per averci fatto vivere il loro rapporto con il mondo esterno e la città lontana, pur restando chiusi all’interno dell’intimità del loro spazio domestico che diventa rifugio. Una Storia contemporanea, che ci riguarda tutti, fatta di origini che si intrecciano con un futuro da dover ancora scrivere“.

Alla già lunga lista di corsisti Tracce che hanno iniziato una carriera nel mondo del cinema, si aggiunge un altro nome: Federico Francioni, ex corsista di Regia e Sceneggiatura.

successi tracce ex corsista federico francioni vince il festival di Torino

 

È la motivazione con la quale Rue Garibaldi ha vinto il Torino Film Festival, sezione Italiana Doc. Si tratta di un film con una forte carica di inventiva e immaginazione. Federico Francioni, ex allievo di regia e sceneggiatura a Tracce e oggi regista e film maker, entra in un appartamento alla periferia di Parigi e convive con i due occupanti, i due giovani Ines e Rafik, entrando a far parte del film a sua volta. “Una scelta – ha scritto il sito Sentieri Selvaggi – forse inevitabile, vista la situazione, ma che riflette l’idea di un cinema che non si tiene a distanza, ma si immerge completamente nella realtà che indaga, e di cui non può non fare parte. Un film sull’identità, concentrato in un interno di fronte al quale il mondo esterno sembra progressivamente svanire”.

 

Federico, come hai avuto l’idea di questo film e cosa volevi raccontare?

Ero a Parigi per realizzare un corto sugli italiani all’estero e così ho cominciato a cercare italiani che vivessero lì. Ho messo perciò un annuncio sul gruppo Facebook “Italiani che vivono a Parigi”, e mi hanno risposto solo arabi! Ho pensato di aver sbagliato completamente l’annuncio.

 

E invece?

E invece ho scoperto che si trattava di arabi italiani, ovvero persone che avevano vissuto in Italia per molto tempo, alcuni anche nati qui, e si sentivano italiani in larga parte, se non completamente. E già questa è stata una scoperta. Poi tra questi ho conosciuto Ines e Rafik, questi due fratelli giovanissimi e legatissimi l’un l’altro, cresciuti a Vittoria in Sicilia e di recente approdati a Parigi, alle prese con lavori precari e in continua ricerca di un equilibrio materiale ed emotivo, ma allo stesso tempo titolari di un rapporto esclusivo tra loro due. Lì mi è scattato qualcosa, ho pensato che la loro vita, in quell’appartamento in Rue Garibaldi avesse grandi potenzialità di racconto. Ho chiesto loro se mi avrebbero ospitato per un periodo mentre riprendevo la loro vita. Hanno accettato e sono andato a vivere con loro per quasi quattro mesi.

 

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Cosa avevi visto in quell’appartamento che ritenevi fosse urgente raccontare?

Loro sono due ragazzi molto interessanti, stimolanti, per quanto sono legati, e questo è già un racconto universale, e poi l’ambientazione che era il loro appartamento in cui si dipanano e svolgono le loro vicende, la ricerca di lavoro, le videochiamate a casa, e anche il mondo esterno, visto attraverso l’automobile di Rafik che faceva l’autista Uber e usciva spesso di notte e io con lui per poi ritornare in appartamento riportando così le storie all’esterno di nuovo all’interno.

 

Come hai trovato i finanziamenti per fare il film?

Dopo l’esperienza parigina sono tornato in Italia e ho parlato con diversi produttori raccontandogli l’idea di questo film, ma non ho concluso niente, mi dicevano “Si va bene, ma cos’hanno di speciale questi due?”, ma forse l’ho raccontato male. Poi si è aperto uno spiraglio in Francia dove ho avuto accesso ad un finanziamento per un altro corto, in pratica mi permettevano di restare a Parigi un anno, per cui ho deciso che avrei fatto il film e sono andato a vivere quattro mesi con i due miei protagonisti con la mia attrezzatura scarna ed essenziale: telecamera e qualche microfono.

 

Avevi una sceneggiatura, una idea di svolgimento degli eventi, un trattamento?

Avevo qualche idea su come l’avrei montato dopo, ma l’idea che avevo era un racconto in presa diretta, per cui ho detto loro di comportarsi naturalmente e di non fare caso a me che riprendevo. Ma a volte loro mi guardavano in camera, sorridevano o mi facevano delle domande, e io rispondevo altrettanto naturalmente. Non c’era nulla di previsto o di artefatto, recitato. Volevo preservare la spontaneità, il racconto della vita reale, per cui nel film a volte ci sono anche io, inteso come presenza di un occhio che guarda e di cui c’è consapevolezza sia nei due protagonisti che nello spettatore del film.

 

Quale vita fanno Ines e Rafik?

Li ho presi in un momento delicato, forse cruciale della loro vita. Sono in una città non da tanto tempo, la precarietà dsi fa sentire, per la prima volta vivono periodi in cui entrambi non lavorano, Rafik nei quattro mesi di riprese cambia tre lavori, Ines ha un rapporto molto confluttuale con un suo ex datore di lavoro, insomma non è una vita facile e i momenti di tensione ci sono, si avvertono. Soprattutto si nota una contraddizione tra due persone giovani al massimo della lori vitalità ed energia, costretti a stare in una situazione di stasi, compressa, che natualmente alimenta tensione.

 

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E l’idea di cinema qual era?

Il fatto di riuscire a immedesimarsi in uno o in entrambi i protagonisti. Il film parte da loro e lo spettatore non sa bene chi sono e cosa pensare, e man mano che si va avanti, entra dentro le vite dei due fratelli, ne capisce i problemi, ne coglie l’essenza e ne trae empatia. Tutti quelli che hanno visto il film, mi hanno raccontato questa sensazione. Alla fine i problemi di Ines e Rafik sono quelli di ogni giovane della loro età e non solo. SOno problemi universali.

 

Cosa pensavi mentre giravi? Hai avuto dubbi, ripensamenti?

Ogni giorno. Non c’era giorno che non pensassi: ma cosa cavolo sto facendo? Però mi sono fidato di me stesso e della mia idea per cui l’ho portata a termine. Certo i dubbi in corso d’opera non ti mollano, ma io nemmeno ho mollato.

 

Ci sono stati momenti di tensione durante le riprese? Non dev’essere facile avere addosso una telecamera per quattro mesi.

Ci sono stati, si. Loro sono partiti con l’idea che fosse una specie di documentario ed erano collaborativi. Poi man mano che andavamo avanti, le cose sono diventate meno leggere e ci sono stati momenti in cui avvertivo la tensione crescere e allora in quel caso spegnevo la telecamera.

 

I due ragazzi avevano idea che il film che li vede protagonisti sarebbe andato in un festival e che addirittura l’avrebbe vinto?

Sono sconvolti da questo fatto. Ovviamente sono venuti a Torino a vedere il film e quando abbiamo vinto per loro è stata un’esperienza incredibile. Li ho lasciati che ancora doveva realizzare cosa stava accadendo.

 

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Il racconto di questa tua esperienza mi fa pensare che a volte non è necessario una troupe, finanziamenti ingenti, personale, amministrazione. Se vuoi fare un film, prendi una telecamera e fallo.

Si assolutamente. Oggi puoi girare un film anche con un telefonino. Se vuoi, un film lo giri quando vuoi. L’unica cosa che serve è sapere cosa vuoi raccontare e il punto di vista che vuoi utilizzare. Non serve altro.

 

Congratulazioni, Federico, da parte di tutti noi di Tracce.

Grazie a voi, ci vediamo presto, abbiamo qualcosa da fare assieme.

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