Ci sono storie e sceneggiature per film e serie dove in primo piano c’è l’intreccio narrativo, la storia, mentre l’ambientazione, il luogo dove i personaggi vivono, va inevitabilmente in secondo piano, fa da sfondo.
In Mare di Easttown (Omicidio a Easttown, nella banale traduzione italiana), accade il contrario: la cittadina di Easttown nella contea di Chester in Pennsylvania, le sue villette a schiera in legno, le strade lunghe buie e desolate, i boschi dove usano radunarsi i ragazzi in fuga dal degrado e da una vita che offre all’apparenza ben poche opportunità, è in questa serie HBO, in onda su Sky, il vero protagonista della serie.
Grandi novità nei corsi di sceneggiatura di Tracce. A partire dal 2023, i corsi di sceneggiatura di primo e secondo livello si uniscono per diventare un unico corso: “Scrivere un film, da Zero alla sceneggiatura” è il nuovo unico corso dedicato a chi vuole apprendere le tecniche base e quelle avanzate per tutte le fasi della scrittura cinematografica, dall’idea alla sceneggiatura completa, passando per pitch, il soggetto, il trattamento, la scaletta e la sceneggiatura.
Il corso è unico ma è possibile dividerlo in due moduli, per cui chi lo desidera potrà fare il primo modulo che arriva alla definizione di un soggetto oppure decidere di proseguire e arrivare fino alla sceneggiatura.
Sviluppare l’idea per un thriller in cinque lezioni online
Come si concepisce una idea per un thriller è l’oggetto del nuovo corso online di Tracce in partenza a giugno 2020
Scena del crimine, tecniche di indagine, interrogatori, psicopatologie e moventi. Tutto quello che c’è da sapere per concepire un’idea per un giallo/thriller che sia credibile e ben congegnato. Il corso, tenuto da sceneggiatori e criminologi, insegna le tecniche di base sia per sviluppare una idea per il cinema, sia per specializzarla in ambito thriller psicologico. Continue reading “Sviluppare un’idea per un thriller. Parte a giugno 2020 il nuovo corso online di Tracce”→
La XXIX edizione del Corso di sceneggiatura di primo livello, inaugurata come sempre dal produttore Indigo film Nicola Giuliano, inizierà venerdì 22 ottobre, a partire dalle 16, presso la galleria fotografica TAG, Tevere Art Gallery, in via di Santa Passera 25, a pochi passi da piazza Meucci, nel tratto iniziale di via della Magliana.
L’incontro è organizzato per tenersi in presenza, rispettando le disposizioni anti-covid, presso una sede che possiede ampi spazi all’aperto e, all’occorrenza, anche al chiuso. Ma la decisione finale se confermare la lezione in presenza o approntare un incontro a distanza sarà presa un paio di settimane prima della data prevista.
Il corso di primo livello, giunto alla XXIX edizione, fornisce le nozioni teoriche e tecniche basilari per la costruzione e lo sviluppo di una idea per il cinema o per la tv e ne prevede la realizzazione di tutte le fasi, per giungere alla scrittura di un soggetto cinematografico pronto per essere visionato da un produttore.
Trovare una idea per il cinema e svilupparla
Durante il corso gli allievi apprendono le modalità e le tecniche sul come si individua una idea valida per il cinema (quindi riconoscendo e scartando quelle non idonee), come si struttura la prima versione dell’idea, come si inventano i personaggi, come si realizza un intreccio, come si definisce la posta in gioco che permette alla storia di essere credibile agli occhi del lettore/spettatore, come si struttura il racconto, dove come e perché si posizionano gli snodi narrativi e i colpi di scena, come si distribuisce la tensione necessaria, come si realizza un montaggio già nel testo, il tutto durante lezioni ed esercitazioni pratiche finalizzate ad arrivare al termine del corso con un soggetto da presentare ad un produttore, tramite quello che viene definito “pitch“, ovvero la presentazione in poche ma efficaci parole della storia realizzata.
I docenti del corso
I docenti del corso sono celebri sceneggiatori, registi e tecnici del cinema italiano.
Graziano Diana (Un Eroe Borghese) e Heidrun Schleef “(La stanza del figlio e Il Caimano), insegnano i fondamenti della scrittura per il cinema: l’idea, i personaggi, l’intreccio, la struttura in tre atti.
Graziano Diana sul set di “Il Commissario”, fiction tv per Mediaset
I registi Denis Rabaglia (Un amico che ti vuole bene), Andrea Molaioli (La ragazza del lago e Suburra la serie) e Daniele Luchetti (Il Portaborse, Momenti di trascurabile felicità), insegnano le tecniche sul punto di vista, sulle ambientazioni, i dialoghi, la messa in scena.
Andrea Molaioli, regista di “Suburra la serie” e La “Ragazza del lago”
Il critico cinematografico Mario Sesti spiega agli allievi la composizione delle immagini e delle scene, attraverso una lunga carrellata delle più significative scene della storia del cinema.
Il montatore Claudio Di Mauro spiega come si aggiunge linguaggio, senso e tensione al racconto tramite il montaggio.
Lo story editor Gino Ventriglia spiega come si concepisce una storia che sia idonea a catturare l’interesse degli story editor, figura professionale che seleziona e sceglie i progetti che vengono realizzati per l’industria cinematografica e televisiva.
Masterclass del premio Oscar Nicola Giuliano
Iniziano e chiudono il corso due lezioni masterclass di Nicola Giuliano, produttore premio Oscar per La Grande Bellezza.
Nella prima lezione Giuliano spiega cosa interessa e cosa cattura l’attenzione di un produttore cinematografico, come deve essere realizzato un soggetto, i trucchi del mestiere e gli errori da evitare.
Nell’ultima – e spesso memorabile per molti allievi – lezione, Giuliano esamina uno per uno tutti i soggetti scritti in quella che è la simulazione più vicina al reale su come si svolge un colloquio produttore-autore nella realtà di tutti i giorni.
Il premio Oscar Nicola Giuliano, produttore per la Indigo Film
Il corso di sceneggiatura di primo livello è indicato per chi ha una forte motivazione per lo scrivere storie per il cinema (ma anche per avvicinarsi a questo mondo insieme a professionisti del settore) e desidera mettersi in gioco personalmente compiendo un percorso composto da lezioni teoriche ed esercitazioni pratiche da fare sia in aula che a casa, rispettando precise tappe di lavorazione (che è poi il normale andamento del lavoro di uno scrittore) e per questo l’ammissione al corso è subordinata ad un colloquio, gratuito e senza impegno, con i responsabili della scuola, Laura Soro e Luca De Benedettis, finalizzato a riscontrare effettivamente la presenza degli indispensabili presupposti, passione e determinazione, per frequentare con profitto il corso.
Se ami il cinema e vuoi apprenderne la formazione di base assieme ai migliori professionisti, questo è il tuo corso.
Il corso si tiene a Roma. Maggiori dettagli nella pagina del programma del corso. L’iscrizione è subordinata ad un colloquio per accertare le necessarie motivazioni.
Utilizza il modulo sottostante per maggiori info o per fissare un colloquio con Laura Soro e Luca De Benedittis, tutor del corso.
Uno sceneggiatore scrive. Scrive sempre. Continuamente. Appena ha un momento libero, approfitta per guardare fuori dalla finestra e mentre guarda quell’incidente stradale con uno degli autisti che litiga con una donna incinta che a fatica esce dall’altra macchina, con alcuni passanti che adesso stanno prendendo le sue difese, lui pensa che questo incidente non sarebbe niente male come diversivo per una rapina in quella gioielleria all’angolo dove si dice che il proprietario tenga nel retro un armadio con i gioielli non blindato.
Proprio come diceva quel tipo losco, un paio di mesi fa, nel bar in cui lo sceneggiatore era entrato solo per comprare una bottiglia di vino pregiato per brindare ad una sceneggiatura terminata e non aveva potuto fare a meno di captare quel discorso, anche perché il tipo losco parlava al barman quasi urlando, proprio come chi si sta vantando. Ma potrebbe anche darsi che non si stesse solo vantando.
Uno sceneggiatore è solo. Dialoga spesso con se stesso, ascolta continuamente due sue voci interne costantemente in conflitto tra loro. C’è quella che dice che la storia sta procedendo benissimo, che le idee sul tavolo sono buone, che sta andando tutto per il meglio. Mentre quell’altra vocina, stridula e acida che sembra di vederla mentre esce da una bocca piegata in un ghigno malefico che dice che no, altro che procedere bene, è tutta una schifezza, roba già vista, ma quale produttore pazzo potrà mai mettere dieci centesimi su una storia così banale? E lo sceneggiatore ascolta entrambe le voci, ma poi decide lui.
Uno sceneggiatore non è solo. Attorno c’è silenzio e pace ma sa anche che presto questa pace si trasformerà in una strana inquietudine e che altrettanto presto scoprirà che ha bisogno di qualcuno di reale a rompergli le scatole. Qualcuno che gli dica che quella idea è fiacca, che quel colpo di scena di pagina 13 è telegrafato al punto che lo si immaginava già a pagina 3. Che quel personaggio è poco credibile. Che quell’ambientazione è inverosimile, che quel finale è scontato. Lo sceneggiatore sa che ha bisogno di un altro sguardo sulla sua storia. Un altro punto di vista.
Sa che ha bisogno di un compagno ideale. Uno che abbia la sua stessa idea di cinema. Se lui ama scrivere storie “plot-oriented”, orientate alla trama (un astronave sbucata dal sottosuolo comincia a lanciare missili fatti di lava incandescente e solo John, investigatore privato, alcolizzato e divorziato e con un’atavica paura del fuoco, che gli deriva da un trauma infantile, potrà sconfiggere gli alieni) difficilmente si troverà a suo agio con uno sceneggiatore orientato al personaggio che ha in mente una storia di un albero che non mette più foglie in primavera perché la ragazza che va sempre a sedersi sotto di lui adesso è depressa e l’albero se n’è accorto.
Uno sceneggiatore fa ricerche. Le stufe in ghisa delle vecchie case di campagna degli anni ’60, quelle con un’entrata stretta dove si fa fatica a inserire la legna, le confezioni triangolari del latte degli anni ’70, le carte da parati a motivi geometrici degli anni ’80, le auto della polizia degli anni ’90, le tecniche dei rapinatori dei furgoni portavalori in autostrada degli anni Duemila. Lo sceneggiatore è sempre immerso in mondi diversi e tutti quei mondi lui deve e vuole conoscerli a perfezione, ogni dettaglio, ogni paesaggio, ogni incrocio di strada urbana, lui c’è stato, e sa come è fatto e da chi è frequentato. Uno sceneggiatore non smette mai di fare ricerche.
Uno sceneggiatore parla delle sue storie. A tutti, incessantemente. E non lo fa per vanagloria o per narcisismo. Sta facendo degli appositi test. Lo sceneggiatore sa che il modo migliore per sapere se una storia è davvero interessante è raccontarne un pezzo e aspettare che l’interlocutore dica la frase magica: “E poi che succede?”. Se accade, la storia, almeno quel pezzo lì, funziona. Al contrario, qualsiasi altra risposta “interessante”, “ah però”, “davvero?”, “Ma chi l’avrebbe mai detto” sono solo frasi di cortesia ma che in realtà significano “Capirai”, “che due palle”, “figuriamoci”, “ma che film scadente è?” e via cosi. Nessun altra frase appagherà lo sceneggiatore di “E poi che succede?”. C’è solo quella frase. La chiave del successo (o del fallimento) dell’intero cinema mondiale di tutti i tempi si regge solo su quella frase.
Uno sceneggiatore sa quando una sceneggiatura si produce e quando no. Sa che le sceneggiature che si producono non sono quelle che vengono da quelle pile di manoscritti che ogni editor o produttore di qualunque società di cinema, tiene relegate in un’apposita stanza. Quelle non le leggerà mai nessuno, stanno lì a perenne monumento delle Sceneggiature Ignote, cadute in una guerra persa ma che non finisce mai di perdere quello che ha da perdere. Le sceneggiature che si producono sono quelle raccontate in 40 secondi ad un produttore mentre sta bevendo un caffè scadente ad un incontro sul nuovo cinema afghano, col produttore che fa “si, si”, con la testa e che per togliersi di torno lo sceneggiatore gli dà appuntamento tra due settimane ad un incontro sul nuovo cinema pakistano. Dove, lo sceneggiatore, con grande sorpresa del produttore, sta bello li ad aspettare per finirgli di raccontare il film in 20 secondi. Lo sceneggiatore sa che se la storia c’è (e lui l’ha testata prima collezionando moltissimi “e poi che succede”), il produttore a quel punto dirà: “Sai che facciamo? Vieni domani mattina nel mio ufficio che ne parliamo per bene”.
Uno sceneggiatore ha sempre una scadenza. Lo sceneggiatore scrive sempre, ma non scrive per sempre la stessa cosa. Lo sceneggiatore si dà un tempo per capire se una storia può funzionare. Lavora così per naturale organizzazione. Quando scade il tempo, lo sceneggiatore ha davanti a sé due scelte. Infilare la storia incompleta in un cassetto, avendo cura di incollarci sopra un post it in cui annotare i problemi che fanno di questa, una storia da rimandare. Oppure decidere di proseguire, ma sapendo che allora si andrà fino in fondo e che la storia vale il tempo da impiegare per scriverla, vale tutte le rinunce, le ore da dedicarci sottratte alla vita dello sceneggiatore e che quella scommessa deve essere fatta razionalmente e non velleitariamente.
Lo sceneggiatore sa che è giusto così. Che bisogna abituarsi a lavorare sotto scadenza. Deve essere allenato a lavorare sotto scadenza. E sotto pressione perché sotto scadenza. Essere allenati a chiudere un lavoro rispettando il termine fissato è la differenza tra un dilettante e un professionista.
Lo sceneggiatore sa come ha imparato. Ricorda quando ha cominciato e quando ha imparato a lavorare bene e sotto scadenza. Quando ha imparato a chiudere una storia in un termine prefissato? E’ successo quando si è iscritto ad un buon corso di sceneggiatura: quando è stato costretto a scrivere di continuo, a confrontarsi ad ogni passo, a scegliersi uno o due compagni che gli andavano bene, a discutere di cinema con chiunque, a raccontare le sue storie ad altri nelle pause pranzo e rispettare tutte le scadenze, se non voleva subire cazziatoni mitici.
È da questo, sostanzialmente, che si riconosce uno sceneggiatore.
Di tutto il processo creativo che sta dietro ad un film, il conoscere se l’idea che ci gira in testa già da parecchio, sia effettivamente una buona idea per farne prima una sceneggiatura e poi un film, è una delle ossessioni per tutti gli scrittori.
Barton Fink – È successo a Hollywood è un film del 1991 di Joel e Ethan Coen, vincitore della Palma d’oro come miglior film al Festival di Cannes 1991.
Nessuno vuole mettersi a scrivere e investire tempo e denaro per una idea mediocre o scadente, l’entusiasmo alla base è importante, e dunque più o meno tutti gli scrittori prima di mettersi al lavoro vogliono sapere, e il più delle volte, lo sanno, se l’idea è davvero buona.
Indigo Film, la casa di produzione cinematografica fondata da Francesca Cima e Nicola Giuliano, docente di sceneggiatura ai nostri corsi, è presente alla Mostra del cinema di Venezia con ben due film e un documentario.
Si tratta di E Qui Rido io, di Mario Martone, Lovely Boy di Francesco Lettieri e il documentario Ezio Bosso – Le cose che restano, di Giorgio Verdelli, incentrato sulla biografia del grande musicista recentemente scomparso.
E Qui rido io, di Mario Martone
Il film racconta la vita di Eduardo Scarpetta, celebre commediografo napoletano, autore di commedie come Miseria e Nobiltà, e padre naturale dei tre fratelli De Filippo. “Uno sforzo produttivo importante – dice Nicola Giuliano – per l’ambientazione, i costumi, le scene di massa e la ricchezza del cast. Per noi è il terzo film prodotto con Martone dopo Capri Revolution e Il Sindaco del Rione Sanità, peraltro tutti presentati a Venezia”.
Lovely Boy di Francesco Lettieri
Il film racconta l’ascesa, la caduta e la risalita di un giovane musicista trap, il genere preferito dagli adolescenti di questo secondo decennio. “Lettieri ha 35 anni, ed è il più giovane dei tre registi che portiamo al festival. Il protagonista, interpretato da Andrea Carpenzano, conosce un successo immediato e fulmineo quanto breve e una volta terminato spronfonda in un abisso di autodistruzione, dal quale tenterà di uscire. Mi sono convinto a produrre il film dopo aver letto la sceneggiatura dello stesso Lettieri e di Peppe Fiore, che riescono rendere interessante anche un mondo, come la musica trap, che alla maggior parte della gente adulta suscita estraneità se non repellenza. Chiunque abbia più di 19 anni trova quel genere incomprensibile, gli stessi miei figli ascoltano quella musica e io non la capisco. Eppure se migliaia di ragazzi la seguono, qualcosa di interessante dovrà pur esserci e Lettieri saprà far entrare gli spettatori anche in quel mondo, come ha fatto col film precedente, Ultrà.
Ezio Bosso, Le cose che restano, di Giorgio Verdelli
“Ero amico di Bosso fin da quando scrisse le musiche de Il Ragazzo invisibile, di Gabriele Salvatores. Un grande musicista che nella sua breve esistenza riuscì a vivere molte vite: rocker, bassista, pianista, direttore d’orchestra. Nonostante facesse musica colta era adorato come una popstar. Ho voluto produrre il film in quanto Verdelli, già autore del documentario su Paolo Conte, Via con me, sa costruire una narrazione, cosa affatto non scontata, per i documentari. Riesce a organizzare un racconto forte e allo stesso tempo fruibile e sa come mettere a proprio agio i musicisti, che riconoscono in lui una persona competente, che sa di musica”.
E Qui Rido io uscirà subito dopo Venezia, mentre Il documentario su Bosso andrà in sala ai primi di ottobre, nello stesso periodo di Lovely Boy che poi andrà su Sky.
Il gruppo di poliziotti del Commissariato di Pizzofalcone, a Napoli, torna con una nuova stagione, la terza, questa volta senza il supporto di un libro da adattare, ma con storie originali, create appositamente dall’autore, Maurizio De Giovanni, assieme a Dido Castelli e a Graziano Diana, nostro docente ai corsi di sceneggiatura e al quale abbiamo chiesto di raccontarci questo progetto, anche dal punto di vista della tecnica di scrittura di una serie.
Un frame della serie: I Bastardi di Pizzofalcone
Graziano, con i Bastardi di Pizzofalcone eravamo rimasti alla fine della seconda stagione, una fine col botto, in senso letterale, visto che al gruppo di poliziotti veniva fatto un attentato con una bomba. Ci racconti come sei stato coinvolto in questo progetto, e come ti ci sei trovato?
Questa stagione, a differenza delle prime due che erano tratte dai libri di Maurizio De Giovanni, vede la creazione di storie originali, visto che i libri da adattare erano finiti. Quella dei Bastardi è una saga che mi piace molto, sono un lettore dei libri di De Giovanni e uno spettatore delle serie, perciò quando da Raiuno è arrivata la proposta di entrare nel gruppo degli sceneggiatori, assieme naturalmente a De Giovanni, mi ha fatto molto piacere, avevo delle idee e le ho portate volentieri all’attenzione degli altri autori.
Graziano Diana sul set (foto Pagina Facebook)
Gli autori sono sei, oltre a te e a De Giovanni e Castelli ci sono Francesca Panzarella, Salvatore Basile, Angelo Petrella e Paolo Terracciano. Come ci si organizza quando gli scrittori sono in gruppo?
Per una serie è necessario partire dal soggetto di serie che abbraccia tutte le puntate e poi dai soggetti delle singole puntate, per i Bastardi sono sei puntate da cento minuti ciascuna, praticamente sei film. De Giovanni, Castelli e io abbiamo scritto sia la linea orizzontale che le sei verticali. Gli altri hanno poi scritto le singole sceneggiature.
Ci racconti come si scrive per le serie?
Ogni serie ha due linee di racconto. Una cosiddetta orizzontale, che abbraccia tutta la stagione, nella quale racconti i personaggi, i caratteri, le reazioni di ogni singolo personaggio agli accadimenti e le conseguenti evoluzioni, prese di coscienza, sviluppi esistenziali. La linea verticale invece sono le singole puntate, in questo caso 6, una per ogni puntata. Quando si scrive per una serie quindi devi tenere presente sia l’andamento della singola puntata, sia l’andamento narrativo-esistenziale dei personaggi lungo tutta la serie. Nel caso dei Bastardi poi, le singole puntate sono tutte storie a sé, dei classici gialli che vanno a conclusione in ogni puntata. Si tratta di gialli classici, da risolvere attraverso l’investigazione alla quale può partecipare anche lo spettatore, se riesce a trovare e unire i singoli elementi che ci siamo divertiti a disseminare lungo la trama, come nei gialli di una volta. E se vogliamo dirla tutta, non solo ci sono sei gialli “verticali”, ma anche uno “orizzontale”, perché i Bastardi vengono da un attentato ai loro danni, attentato di cui dovranno scoprire mandante e movente e ci metteranno tutta la stagione per risolverlo.
Siete dei professionisti, ma c’è da impazzire nel tenere i fili narrativi di tutte le storie…
Si chiama architettura narrativa ed è un ambito della scrittura che mi piace particolarmente, mi ci dedico con piacere, mi diverto a creare incastri e a trovarne sempre di nuovi, ogni volta è una emozione per la scoperta di una possibilità a cui non avevo pensato e che quando mi viene in mente, mi procura sorpresa e gioia.
Monicelli raccontava che scrivere con i suoi colleghi si risolveva il più delle volte in giornate passate a commentare i fatti del giorno, e poi a fine giornata dividersi il lavoro. Funziona così anche con De Giovanni?
Un po’ si, lui è una persona divertente, molto creativa, molto immaginifica, ed è molto legato alla sua città, Napoli, dalla quale trae spunti, pezzi di trama, abbozzi di personaggi, che poi sta a noi raccogliere e sviluppare, mettendoci nel nostro. E anche con lui si chiacchiera molto, ma chiacchierare spesso è un modo per mettersi in sintonia, per poi procedere con l’invenzione che viene più facile stando tutti sulla stessa lunghezza d’onda.
Come gestivate le inevitabili discussioni e divergenze?
Più che discussioni, ci sono diverse sensibilità, a volte diversi pareri su come procedere in qualche snodo narrativo, più sui risvolti psicologici dei personaggi che sulle trame, ma in generale c’è molta sintonia comune, quindi il lavoro procede spedito. De Giovanni così come Dido Castelli e io, apparteniamo alla categoria degli “sceneggiatori parlanti”.
Ci sono sceneggiatori taciturni anche nei gruppi di scrittura?
Certo. Ruggero Maccari, il cosceneggiatore di Ettore Scola, ad esempio. Ho lavorato con loro e ricordo che mentre tra Scola e Furio Scarpelli potevano esserci lunghissimi discorsi e non di rado anche discussioni accese e finanche litigi e parolacce, Maccari era praticamente muto. Non parlava mai e quello che pensava lo scriveva. Ogni sceneggiatore ha le sue caratteristiche. Con De Giovanni, c’è un bel clima. Ma comunque calcola che io, noi, siamo dei privilegiati.
Privilegiati in che senso?
Che ci vediamo, come un gruppo di amici, a casa di qualcuno e scriviamo chiacchierando e chiacchieriamo scrivendo, ma è un metodo che purtroppo si avvia a scomparire. Adesso anche in Italia nelle serie si usa sempre più il metodo americano, la Writers Room, un gruppo di giovani scrittori con un Head Writer che li coordina e con loro che ogni tot di tempo devono portare le scene, uno sviluppo, un pezzo di soggetto, tutto molto standardizzato, che non so quanta creatività possa garantire in un processo così serrato.
Ti è mai capitato di stare in una Writers Room?
No, non ancora, ma diciamo che non sono entusiasta di provare, né nell’esserci né nel coordinarla, è un metodo che non so quanto possa funzionare con me, e comunque tendo a scegliere progetti dove si scrive alla vecchia maniera. Almeno fino a che potrò farlo.
Il tuo cinema spesso ha riguardato storie e personaggi di italiani con una forte etica, e spesso da soli nell’affrontare le sfide. Come ti sei trovato con questi Bastardi e quanto assomigliano al tuo cinema?
Si somigliano parecchio, sono simili a grandi personaggi della nostra storia, come l’avvocato Ambrosoli, o Libero Grassi. Italiani che hanno dentro un’anima etica molto forte, poco o per nulla disposti a compromessi, ai soliti accomodamenti tipici della nostra società e che per questo si ritrovano soli, non aiutati da chi dovrebbe affiancarli e supportarli. Ma loro testardamente vanno avanti, perché hanno dentro una forte motivazione, principi rigorosi a cui non possono rinunciare e per questo vanno avanti sempre, caparbiamente. Questi Bastardi assomigliano molto a questo tipo di italiani e perciò mi stanno particolarmente simpatici.
Dopo il corso di Sceneggiatura di II livello, partito a febbraio, i corsi di Regia, VII edizione, sempre capitanata dai registi Daniele Luchetti e Andrea Molaioli, e il Corso di Sceneggiatura di Primo livello, aperto a chiunque voglia apprendere le tecniche base del racconto cinematografico, sono previsti rispettivamente per il 30 e il 27 maggio 2022.
Le selezioni per entrambi i corsi sono aperte e gli aspiranti corsisti possono prenotarsi per un colloquio, compilando il modulo all’interno delle pagine del Corso di Regia e di Sceneggiatura di Primo livello, oppure telefonando ai numeri 349 7266758 – 346 4901058, oppure scrivendo una email a: info@traccesnc.it.